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La scuola a Massa Lombarda nei primi anni dell'Unità d'Italia

  • Immagine del redattore: Mauro Remondini
    Mauro Remondini
  • 14 feb
  • Tempo di lettura: 10 min

Dopo il plebiscito del 11-12 marzo 1860 indetto dal governo provvisorio delle Romagne che  sancisce l’unione al Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele II (analogo risultato in Toscana) e le elezioni comunali avvenute il mese precedente (12 febbraio del 1860), i 20 consiglieri eletti si mettono al lavoro con entusiasmo per le condizioni politiche nuove di ritrovata libertà e di  fiducia in una prossima unità dell’Italia dopo gli anni bui del governo pontificio.

     La classe politica emersa da queste elezioni è abbastanza omogenea e rappresenta gli interessi e le aspirazioni di un sottile strato di popolazione: i possidenti e dovrà confrontarsi con una realtà economica e sociale del paese disastrosa: miseria, disoccupazione, condizioni igieniche pubbliche e private quasi inesistenti, malattie diffuse tra cui la tubercolosi.  Tutto ciò porta a un  tasso di mortalità elevato che nel 1861 raggiunge il valore di 24 morti per mille abitanti (quello nazionale sarà ancora più alto raggiungendo il valore di 30) e non può non ripercuotersi sulla vita media di ogni individuo nato vivo che nel primo decennio dell’unità oscilla fra un minimo di 24,9 ed un massimo di 27,6 anni.

 L’assistenza ospedaliera e sociale è affidata alle Opere Pie; le  industrie sono inesistenti e l’agricoltura ferma alle   colture tradizionali (grano, granoturco, vite, canapa e poco altro).

L’analfabetismo poi è oltre l’80%,   superiore alla media nazionale del tempo.

I componenti del consiglio comunale appartengono al partito moderato (che è maggioranza) e a quello democratico (minoranza).  I moderati hanno vinto e come gruppo sociale dirigente hanno praticamente annullato ed inglobato i rappresentanti del partito d’azione cosicché in consiglio comunale non esiste una vera e proprio contrapposizione tra minoranza e maggioranza. Le decisioni più importanti sono prese quasi sempre all’unanimità; posizioni diversificate affiorano solo qua e là soprattutto su problemi pratici.  Poiché quasi tutti i consiglieri (e possidenti) vivono in paese sono a contatto diretto  con la realtà che li circonda e si ripromettono di migliorare  le condizioni materiali e sociali della popolazione. La loro azione sarà sincera e in qualche caso appassionata nel cercare di procurare lavoro ai braccianti disoccupati anche se venata di un forte  paternalismo.

Le  condizioni materiali dipendono da una agricoltura abbastanza arretrata  con proprietari  molto restii a cambiare modo di produzione e   conduzione nei loro fondi sottoponendo i loro contadini-mezzadri a contratti di tipo semifeudale.  La  piccola proprietà, più disponibile a sperimentare e innovare è però  quasi inesistente e manca di capitali necessari per investimenti.

Più tardi con le bonifiche di Pompeo Torchi e soprattutto la sperimentazione della coltura della pesca negli anni ’80 del 1800 da parte di una famiglia di affittuari delle Opere Pie (i Gianstefani) si aprirà la strada ad una vera rivoluzione nelle campagne con la frutticoltura industriale che prenderà inizio  nel 1903 ad opera di Adolfo Bonvicini.

L’avvento dell’Unità d’Italia poco o nulla modificherà le condizioni economiche della popolazione massese  così come  la conduzione finanziaria dell’amministrazione comunale. I bilanci comunali infatti nei primi anni non cambiano granché e sono compilati sulla falsa riga di quelli sotto il governo pontificio poiché le entrate rimangono per lo più sempre quelle.

Quello che marcherà invece la differenza con il passato regime sarà il settore della scuola, della pubblica istruzione  dove  l’amministrazione comunale si impegnerà con forza e determinazione.

E tale differenza non sarà tanto per la quantità di denaro impiegato che pur non è poco (si passa dalle circa 3.000 lire del 1859 alle 8.000 del 1862 utilizzato soprattutto per spese correnti) quanto per la volontà di dare una svolta di riforma al sistema scolastico precedente. L’attenzione si concentrerà sulla nuova scuola elementare.

Le mosse prendono avvio dalla legge “Casati” dal nome del ministro che l’aveva promulgata nel Piemonte nel novembre 1859 (entrata in vigore nel 1860) e che poi successivamente verrà estesa, così com’è a tutti i territori del nuovo regno d’Italia. Prevede l’istituzione di una scuola elementare della durata di 4 anni per i bambini di età compresa fra i 6 anni ed i 10 e divisa in due bienni di cui solo il primo è (sarebbe) obbligatorio.[1] E’ a completo carico dei comuni compresa la nomina e la retribuzione dei maestri. La legge prevede però che l’impegno dei comuni vada commisurato alle “loro facoltà” ed “ai bisogni degli abitanti”: se un Comune non ha soldi o ne ha pochi  potrebbe al limite non aprire la scuola oppure aprire solo il biennio oppure, ancora, pagare gli insegnanti meno delle tabelle ministeriali[2]. Infine il consiglio comunale, formato in genere dal ceto benestante,  potrebbe anche decidere che l’alfabetismo  “non è un bisogno” degli abitanti poveri e quindi non aprire la scuola.

Come infatti succederà  in molte realtà del sud in cui le scuole non venivano nemmeno aperte perché un ceto dirigente ottuso e reazionario giudicava che tale apertura “non era un bisogno” dei cittadini in stragrande maggioranza poverissimi.

Ma il i dirigenti borghesi dell’amministrazione di Massa Lombarda con in testa Eugenio Bonvicini (1823-1908 possidente, laureato in legge, moderato monarchico e primo assessore alla pubblica istruzione) hanno altre concezioni:  affidano infatti all’educazione ed in particolare alla scuola un grande compito: quello di “creare una unità nazionale operante nella coscienza dei cittadini”. L’istruzione quindi, e soprattutto quella rivolta alle classi popolari, dovrà essere in grado di plasmare un cittadino nuovo, patriottico, italiano, cosciente di appartenere alla nazione Italia e di inserirlo  a pieno titolo nella società attraverso un lavoro più qualificato. Non solo. La scuola popolare viene investita anche di una missione salvifica: cioè quella di migliorare i costumi del popolo, il suo atteggiamento rispetto alla famiglia ed alla società.

E la nuova scuola parte da una forte critica a quella del passato regime.

Infatti tutte le scuole del governo pontificio non avrebbero  rappresentato un buon modello educativo per i giovani massesi: questo il parere di un componente la commissione municipale, Paolo Ricci Signorini (possidente e laureato in legge), che alla fine dell’estate del 1859 lo esprime in un questionario del governo provvisorio delle province emiliane. Le sue critiche si focalizzano in modo particolare  su due scuole presenti nel Comune: quella elementare e quella di calligrafia. Per lui infatti nelle scuole suddette si “pone a base dell’istruzione opere di classici e specialmente la latinità. Essendo pertanto la maggioranza [degli alunni, n.d.a.] costituita da quelli che per la loro condizione sono destinati alle arti meccaniche o manuali od al commercio sarebbe da provvedere che l’istruzione elementare fosse regolata in modo da tornare proficua a questa maggioranza”.

Ricci Signorini esprime quindi l’opinione, comune a molti borghesi progressisti, che l’istruzione di base avrebbe dovuto essere  più aderente alla necessità della stragrande maggioranza della popolazione povera nella convinzione che questa bastasse da sola per darle un avvenire migliore. Questa opinione  comunque, per quanto avanzata per i tempi storici, rimane pur sempre ancorata alla rigida divisione della scuola in rapporto al censo anche se temperata dall’idea che la scuola elementare sia per tutti: ecco infatti come termina il suo ragionamento: “… cioè il primario insegnamento dovrebbe vertere sopra materie di comune vantaggio ed esserci a parte una scuola di latinità o  un corso di studi classici per quei pochi che hanno attitudini o mezzi da provare a compiere la carriera delle liberali discipline”. 

E’ bene tenere presente che queste idee sono espresse qualche mese prima della promulgazione della “Casati” sulla scuola:  legge nata in quel Piemonte risorgimentale a cui i patrioti guardavano con ammirazione come esempio di regime costituzionale con libertà sconosciute nelle altre parti d’Italia.

Nella Casati infatti per la scuola elementare si trovano programmi più aderenti ai bisogni di emancipazione delle masse ed il principio di una scuola pubblica aperta e obbligatoria per tutti.

A Massa Lombarda quindi il problema  è  subito affrontato mettendo in essere piccole rivoluzioni che segnano l’intenzione di un forte cambiamento: una prima per esempio  è la distribuzione gratuita dei libri, una seconda è quella per cui il Comune fornisce  la legna per il riscaldamento: viene così abolito l’uso che obbligava gli alunni a portarla da casa oppure pagare una tassa. Questa decisione che di per sé sembrerebbe non eclatante  rappresenta invece un fatto rivoluzionario perché abbatte uno dei molti ostacoli che impedivano ai bambini di famiglie povere di frequentare poiché la legna, spesso, mancava addirittura nelle loro case, immaginarsi poi a pagare una tassa. Un’altra sarà la presenza in ogni classe di una lavagna cosa che prima non accadeva.

Le materie di insegnamento sono la lingua italiana, aritmetica e catechismo (obbligatorio e sotto il controllo delle autorità ecclesiastiche con esonero per gli “acattolici”)[3]. La lingua madre insegnata nella scuola acquista quindi la grande funzione di principio unificatore della nazione (si pensi che nel 1861, secondo le stime di De Mauro, parlavano italiano circa 600 mila persone, appena il 2,5% della intera popolazione). Da qui l’importanza fondamentale della lettura attraverso la quale si danno anche notizie di storia, geografia e scienze naturali.

La scuola è aperta in linea di massima dal 15 ottobre al 15 agosto e nei centri rurali è possibile uno spostamento di queste date in funzione dei lavori nella campagna.

A Massa Lombarda inizierà il 3 novembre 1860. 

Un problema non indifferente sarà quello delle condizioni materiali in cui il maestro dovrà operare: infatti se  insegna in una classe sola, seconda la legge, può avere anche 100 alunni, se in due (la cosiddetta pluriclasse) anche 70. A Massa Lombarda agli inizi le classi saranno molto meno numerose: lo diventeranno negli anni ’80.

Ma anche l’insegnante rappresenta una difficoltà data  l’impreparazione ad affrontare questi nuovi programmi e quindi la necessità di un suo rapido aggiornamento.

Paolo Ricci Signorini, che abbiamo già visto criticare la scuola in generale sotto lo Stato Pontificio, prende di mira anche gli insegnanti che  vi operavano: li accusa  infatti  di far apprendere a memoria le lezioni dopo una superficiale spiegazione mentre il metodo da adottare sarebbe “l’analitico il quale servirebbe senza dubbio ad imprimere negli alunni le effettive cognizioni di ciò che intendono.” Si augura poi l’avvento di “una legge nuova [che] prescrivesse altri metodi e regole influenti” perché quelli vecchi non sono in grado di “rispondere ai bisogni ed ai progressi” con l’inevitabile conseguenza di un  “grave danno della società”.

Il trentasettenne Paolo Ricci Signorini è  portatore di idee positivistiche che già permeavano mezza Europa e soprattutto la borghesia francese ed inglese. La fiducia nella cultura fondata sulla scienza quale strumento di progresso sociale e di rivoluzione pacifica è il segno distintivo dei positivisti per i quali i grandi problemi della società avrebbero dovuto essere affrontati sul piano dell’educazione.

La pedagogia positivista non attribuisce il primato del sapere al libro quale depositario del sapere stesso ed al maestro, bensì allo studente coi suoi interessi, le sue attitudini, le sue caratteristiche irrepetibili. Partire dai “fatti”, analizzarli e procedere indirettamente e gradualmente verso i concetti, le leggi, i principi. “Per i positivisti italiani l’adozione di questo metodo sia intesa come la condizione necessaria e sufficiente per portare il popolo a superare l’abisso che attualmente separa l’arretratezza del costume dalla modernità degli istituti.”

Il principio della scuola di base pubblica e per tutti sarà molto sentito, difeso e ribadito dai componenti il consiglio comunale. Nel maggio 1863, per esempio,  il consigliere del partito d’azione, Giuseppe Mancini teme una “restrizione alla pubblicità dell’insegnamento femminile essendogli noto che nel Pio luogo [ un istituto per orfane condotto dalle suore dorotee, n.d.a.] si vuole istituire una scuola privata per le fanciulle più agiate cosa contraria ad una ben intesa uguaglianza ed allo scopo preciso della legge che è di accomunare assieme le povere e le ricche, onde così meglio assodando le relazioni sociali, unite approfittino dei […] lumi dell’umano sapere.”  Invita poi vigorosamente la giunta a sorvegliare perché questo non accada.

La fiducia nella scuola e nell’istruzione è pienamente condivisa   anche dal sindaco conte Avogli Trotti che nel marzo del 1860  non solo accoglie con entusiasmo la nuova scuola di base, ma spera di istituire anche quella tecnica, a pochi giorni dalla pubblicazione del decreto della sua istituzione.               Egli infatti è convinto che  con l’istruzione “il popolo rimasto fino ad ora per colpa del cessato Governo nella miseria dell’ignoranza potrà facilmente istruirsi e divenire degno delle Istituzioni che sono il frutto del vivere libero e civile”. L’educazione quindi come passaggio obbligato per l’emancipazione del popolo, il suo inserimento a pieno titolo nelle rappresentanze e nelle istituzioni politiche. Non solo. Le popolazioni che vedranno i loro figli usufruire della possibilità di andare a scuola “già benedicono il sorgere di una aurora che la illumina e prepara ad esse il sentiero della verità e della giustizia”.

Quindi non ci sono per la popolazione altre strade all’infuori dell’educazione per avere “giustizia e verità”.

Se da una parte queste idee rappresentano un notevole passo avanti sulla strada della emancipazione delle masse, dall’altra non saranno però sufficienti per combattere la miseria, la disuguaglianza, la sopraffazione. Ed è proprio su questa dicotomia che una parte importante del gruppo dirigente massese fonderà la sua illusione: il frequentare la scuola in quel momento storico non cambierà la condizione sociale ed economica delle famiglie,  lascerà indifferente la gran parte della popolazione povera perché viene ad operare in un contesto negativo in cui la situazione economica è quella che abbiamo sopra descritta aggravata dall’assenza di riforme vere in agricoltura. In poche parole la popolazione non riesce a scorgere prospettive di cambiamento attraverso l’istruzione.

Nell’anno successivo all’apertura della nuova scuola elementare, nel dicembre 1861, verrà istituita quella serale aperta  solo ai maschi e soprattutto “agli artieri [artigiani, n.d.a.] del Paese [che] abbiano essi ovvero no cognizione alcuna di lettera e calligrafia”.

Anche la scuola serale deve servire al “miglioramento morale” del popolo poiché l’insegnamento impartito è “vitale e morale” e l’istituzione è “morale e patriottica”.

Nonostante le grosse difficoltà iniziali, così si esprime  in consiglio comunale l’assessore all’istruzione  Eugenio  Bonvicini: “E’ ferma però in me la speranza che i reali vantaggi che saranno per recare alla classe del popolo le scuole elementari proverà a splendere di meriggio che i nuovi metodi sono del tutto nazionali e basati su quella norma di saggia politica di cui va commendato il governo del Re”.

Queste parole  oltre che una grande fiducia nella scuola, denotano anche un tratto del suo credo politico: un leale patriottismo  (monarchico) unito a una forte speranza nell’Italia finalmente unita. 

Ma da dove provengono queste difficoltà? Per Bonvicini non ci sono dubbi: scaturiscono dal popolo che vive ancora di “pregiudizi che l’ignoranza pone avanti in ogni benemerita istituzione”.  Ripete poi la tesi, tante volte citata, della meccanica interdipendenza fra scuola e sviluppo della vita sociale ed economica: il popolo non capisce che “oltreché migliorandosi coll’educazione i costumi, verrà dato conseguire quelle migliorie sociali che ogni onesto ha diritto di ripromettersi dall’odierna civiltà”. 

Anche l’istituzione di una scuola “domenicale” per le donne analfabete fa parte di questa filosofia.

Insomma a Massa Lombarda all’inizio dell’Unità d’Italia  c’è una classe dirigente che crede nell’istruzione come fattore di progresso morale, sociale ed economico oltreché  di unione nazionale.

Nel tempo questo entusiasmo scemerà un po’, ma l’input era stato dato e il testimone verrà poi preso dagli amministratori socialisti che a cavallo fra 1800 e 1900  la rilanceranno come strumento essenziale per la conoscenza e il miglioramento delle condizioni di vita delle masse operaie e contadine nell’ambito della lotta di classe.

 

Mauro Remondini


[1] Molto tempo dopo i comuni potranno costituire anche la classe quinta e sesta come scuola popolare per chi non intendeva andare oltre negli studi.

[2] I maestri hanno stipendi estremamente differenziati a seconda che siano maschi o femmine, che insegnino in scuole di città, o paese o rurali, o nella prima o seconda o quarta classe.

[3] A fine anno scolastico il sindaco inviterà con lettera ufficiale a scuola l’arciprete per l’esame di religione degli alunni.

 
 
 

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